Realizzare una Difesa Comune rappresenterà per l’unificazione europea un percorso ad ostacoli difficilmente raggirabili.
Sulle modalità di applicazione del primo programma comune europeo, Defence Industrial Development Programme, viene fuori una prima rilevante questione segnalata dai governatori italiani delle regioni Piemonte, Lombardia, Lazio e Liguria.
Per fortuna, pare che non tutta la classe politica sia immersa nei furori polemici della campagna elettorale, infatti, i presidenti delle quattro regioni, hanno sollevato il tema dell’assegnazione delle risorse previste nel Fondo di difesa europeo, che assegna alle imprese e centri di ricerca 500 milioni nel biennio 2019-2020, e un budget di 1 miliardo all’anno dopo il 2020 per sostenere i programmi aziende dell’Aerospazio e Difesa.
In una lettera indirizzata al presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani i governatori italiani sollecitano un accordo definitivo sulle modalità di accesso alle risorse che l’Europa destinerà al settore, non escludendo quelle aziende con stabilimenti e centri di ricerca in Europa, ma di proprietà extraeuropee.
«Per le nostre Regioni e per il mantenimento della crescita del settore nell’intero Paese – scrivono Sergio Chiamparino, Roberto Maroni, Giovanni Toti e Nicola Zingaretti- riteniamo fondamentale che il Parlamento europeo confermi il compromesso raggiunto in Consiglio, consentendo alle aziende del settore controllate da proprietari non europei, a determinate condizioni, di poter partecipare -al programma».
I firmatari sono preoccupati che quel compromesso salti perché la Francia, evidentemente valutando i propri interessi nazionali, vorrebbe assegnare i finanziamenti solo a quelle aziende di proprietà completamente di stati europei.
Un primo accordo raggiunto tra i paesi che hanno sottoscritto il programma EDIDP prevede invece che le aziende con proprietà extraeuropea possano accedere ai programmi di finanziamento quando questo non contrasti con gli interessi nazionali di sicurezza e difesa dell`Unione e quando siano presenti meccanismi che consentano ai Governi di esercitare poteri speciali nei confronti di queste imprese controllate da proprietà estere.
Non si tratta di una questione da poco, considerando la presenza in Italia d’importanti impianti di gruppi industriali esteri, in verità localizzati anche in altri regioni del Paese, oltre a quelle dei presidenti che hanno sollevato il problema. Una scelta differente, aggiungono nella lettera Chiamparino, Maroni, Toti e Nicola Zingaretti «avrebbe conseguenze gravi in termini occupazionali, di Pil, di crescita industriale e di partecipazione ai processi innovativiin atto nei Paesi più avanzati».