Era gennaio 1984, in AERITALIA a Pomigliano d’Arco, i redattori del giornale di fabbrica IL DECOLLO collaboravano con la giovane redazione catanese della rivista i SICILIANI.
Con Pippo Fava, direttore del giornale siciliano, c’era un rapporto d’affetto e collaborazione che aveva contribuito a fare del giornale di fabbrica napoletano il più importante delle pubblicazioni italiane nate e promosse delle organizzazioni dei lavoratori delle grandi aziende del Paese.
La mafia catanese uccise Pippo, con lui distrusse molte delle nostre illusioni e passioni,ma chi allora visse quella esperienza non ha mai dimendicato la lezione di Pippo.
Collaborando con Fava incrociammo un tipo di giornalismo efficace che incideva sulle storture della società, non era militante come era inteso allora, ma autonomo e eticamente libero per cui appassionava trasversalmente alle ideologie i giovani che si avvicinavano alla comunicazione.
Nonostante il tempo, il disincanto e le disillusioni non abbiamo mai smesso di ricordare la lezione di Pippo, le sue rigidità, la sua passione per il giornalismo vero e la sua intransigenza.
Sono stati necessari 35 anni perchè l’Italia e la RAI ricordasse Pippo.
Aeropolis porta con se da quasi quarant’anni il logo dell’aerouccello di quella pubblicazione nata in Aeritalia negli anni 80 del millennio e del secolo passato.
Quando un collega grafico ci propose quel disegno eravamo finalmente pronti con il numero zero che aprimmo con un’intervista al capo dello stabilimento Aeritalia Amedeo Caporaletti. Qualcuno dei nostri collaboratori, che conosceva i ragazzi dei Siciliani, propose di consultarli per la grafica perchè la loro rivista era splendidamente impaginata. Pippo ci rispose che il logo gli piaceva e ci spronò ad andare avanti con il nostro progetto di un giornale di fabbrica che uscisse dagli schemi delle pubblicazioni ideologizzate, politicamente caratterizzato ma innovativo nella grafica e nei contenuti.
Per noi quel logo rappresenta e ci riporta ancora a quel modello di comunicazione libera e di denunzia che imparammo allora da Pippo Fava e dai suoi “matti collaboratori”.