Coronavirus – I napoletani sono incoscientemente strafottenti?

La città dopo la pandemia ritroverà se stessa come fu dopo l’epidemia del colera e la rivolta del pane del 1973.

L’ospedale Loreto Mare di Napoli in questi giorni di marzo del 2020 ha richiamato in servizio a 74 anni Franco Faella, uno degli infettivologi che era in trincea nel 1973 quando in città si diffuse il Colera. Il professore gestirà il reparto destinato alla cura dal Covid 19.

Il principale quotidiano di Napoli, Il Mattino, nei giorni scorsi, sulla sua pagina web, ha pubblicato diverse risposte ironiche e divertenti dei napoletani su questa prima fase dell’emergenza sanitaria.

Nelle considerazioni degli intervistati non emerge alcuna consapevolezza della gravità e delle conseguenze di un pandemia, siamo ai primi giorni di allarme in Italia, nel resto del mondo nemmeno se ne parla, e il giornale conclude il pezzo affermando  che quella che può essere ritenuta incosciente strafottenza dei napoletani “ è la reazione naturale di un popolo abituato ad affrontare allarmi di questo tipo: dalla crisi dei rifiuti del 2005 all’epidemia da colera del 1973, passando per il terremoto del 1980”.

Il tema secolare della “incosciente sfrafottenza” dei napoletani ritorna in questo commento di un giornalista dei giorni nostri ed  è riproposto con la stessa  leggerezza e approssimazione di quelli che continuano a immaginare i cittadini di questa terra con i parametri di una ‘napoletanità’ d’accatto.

E’ poi vero che i napoletani sono ormai talmente abituati alle vicende tragiche della storia che le affrontano con leggerezza e disincanto e sicuramente nemmeno il coronavirus riuscirà a cambiare questo loro modo di essere?

Noi speriamo di no perchè le svolte tragiche della storia collettiva modificano spesso in meglio i popoli, e la trasformazione più importante e recente che Napoli e i napoletani hanno dato alla loro storia privata e collettiva fu nel 1973 dopo l’epidemia del colera, quando decisero coscientemente di cambiare il loro modo di essere uomini e cittadini.

La diffusione del vibrione fu scoperta a fine Estate a Napoli . La città aveva superato da poche settimane la rivolta del pane.

A luglio la città con “la crisi del pane” aveva vissuto una situazione che ricordava il manzoniano assalto al “forno delle grucce”.

Il governo nazionale aveva imposto il prezzo del pane a 160 lire a chilo, i fornai ritenendolo troppo basso si rifiutano di produrlo. Il pane sparì dai negozi e si riusciva a trovarlo solo al mercato nero venduto anche dieci volte il prezzo ufficiale.

Il governo Andreotti a Roma aveva deciso una svalutazione drastica della moneta (circa il 15%). Quella decisione innescò l’aumento dei costi delle materie prime che si trasferì sui beni di consumo infiammando vertiginosamente l’inflazione. Il successivo governo Rumor intervenne per calmierare i prezzi.

La decisione sul prezzo del pane e la reazione dei ‘panettieri’ aveva prodotto il mercato nero. La città di Napoli ricordò la miseria della guerra e si scoprì eversiva   poche altre città sanno essere e come si dimostrò in quel recente settembre del 1943.

A distranza di trent’anni dalla rivolta contro il nazifascismo, per alcuni giorni i quartieri più popolari e quelli periferici della città furono scossi da violente proteste di migliaia di donne dei ceti popolari.

Dopo numerosi scontri con le forze dell’ordine e la distruzione di diverse panetterie, il pane tornò nei negozi a prezzi contenuti. Il mare e la stagione dei bagni riportarono rapidamente la tranquillità e la pace sociale.

A fine agosto la città scoprì di essere infetta dal vibrione del Colera.

L’epidemia colpì quella parte della popolazione che faceva ancora i conti con le arretratezze igieniche e il degrado.

Negli anni 60, dopo l’occupazione militare degli alleati e gli anni della centralità strategica del porto, quando la 6° flotta americana fece posto al comando NATO, la città poteva ritrovare le sue energie migliori e raggiungere il resto del Paese nella ricostruzione.

Si trovò invece nelle mani di palazzinari, filibustieri e arricchiti di ogni risma che occuparono le istituzioni e distrussero il territorio costruendo in ogni area della città e della sua periferia, realizzarono interi quartieri abusivi, privi di servizi e distruggendo nel profondo la natura e l’equilibrio del territorio.

La città subiva lo scempio e perdeva il passo rispetto al resto del Paese, era sempre più condannata all’arretratezza.

Nonostante la ricostruzione e il boom economico a Napoli restava il degrado urbano, si contavano ancora decine di migliaia di “bassi” e numerose aree malsane come quelle delle concerie. I Regi Lagni erano ridotti in chilometri di fogne a cielo aperto e diffondevano malattie nelle zone interne e in quelle costiere dove sfociavano. I servizi sanitari e di pulizia urbana, privi d’investimenti e mal gestiti, erano i peggiori d’Europa.

Napoli trascinata dal Colera raggiunse il fondo e trovò la forza per reagire.

Durante l’epidemia i napoletani erano chiusi in casa e terrorizzati, come ora lo siamo noi per il Coronavirus. Loro avevano rimosso le tragedie dei bombardamenti dell’ultima guerra come noi quelle del terremoto.

Quando il Colera si manifestò accadde chesi svuotarono le istituzioni cittadine,  sparirono la gran parte degli amministratori e molti dei funzionari pubblici, disertarono impauriti dall’epidemia che di gestire l’emergenza pubblica, che non era solo sanitaria.

Le forze politiche di opposizione, le associazioni studentesche, il volontariato cattolico e i sindacati che erano stati fino ad allora poco rilevanti, occuparono quello spazio abbandonato e gestirono l’organizzazione dei servizi e le operazioni di vaccinazioni di massa.

I napoletani in quell’esperienza e in quei nuovi interlocutori pubblici ritrovarono le istituzioni e la fiducia nello Stato. Decisero di girare una pagina della loro storia e diventare cittadini liberi.

Condivisero, smentendo chi si aspettava altre rivolte di massa, le politiche restrittive assunte per reagire alla crisi energetica, pochi mesi dopo votarono oltre ogni previsione contro l’abolizione del divorzio e l’anno dopo Maurizio Valenzi fu eletto sindaco di Napoli.

Dal 1973 la città era diventata un grande laboratorio politico e sociale.

Per sette anni la città visse una stagione di risveglio della creatività, creò i suoi nuovi miti ed eroi, molti si sono confermati anche per le generazioni successive, radicandosi nel sentimento della città e dell’intero Paese e sono riferimenti vivi anche nei giorni nostri.

I napoletani e non solo i giovani che vivevano la stagione dell’impegno politico o gli operai delle grandi fabbriche in cerca di riscatto, ritrovarono la passione, entusiasmo, partecipazione e voglia di emanciparsi.

La città recuperò aspetti di quel fascino che aveva esercitato nella cultura italiana ed europea fino ai primi decenni del secolo.

La città non ritornò mai più a essere com’era stata prima della crisi. Le brusche fratture degli equilibri, i mutamenti forzati di abitudini di vita e le intense emozioni collettive avevano prodotto cambiamenti radicali nelle relazioni tra gli uomini e quelle tra loro e le istituzioni.

Poi il Terremoto dell’80 e con la ricostruzione si ritornò indietro. Ma è un’altra storia.

Dopo di allora la storia della città è stata un trascinare di speranze e delusioni di primavere di rinascita e ‘rivoluzioni’ sempre in attesa di essere attuate.

Da qualche anno Napoli si era scoperta ricca di fascino e interesse per il turismo nazionale e internazionale, quello colto e giovanile che porta modernità e apertura mentale.

L’economia aveva ripreso a crescere, forse era la volta buona.

Poi il Coronavirus. Come sarà la città e la sua gente dopo la pandemia ? Alla domanda risponderanno altri nei prossimi anni.