Aerospazio Campania – Emergenza Aerospazio. Prospettive e ricadute per il Mezzogiorno

Seminario Fiom-Cgil

Napoli Forum Nazionale della FIOM-CGIL. “Al Sud metà dei fondi del Recovery Fund”, “quale futuro per le AEROSTRUTTURE”. “Un tavolo del Governo con sindacati e grandi gruppi industriali per gestire la crisi e le strategie di ripresa”.

Un’intera giornata di discussione e confronti sul futuro delle imprese aerospaziali tra i sindacalisti di tutti gli stabilimenti italiani del settore.

L’evento promosso a Napoli, ieri 6 ottobre, alla discussione i contributi, tra i molti altri, di Maurizio Landini, Francesca Re David e il vicesindaco di Napoli, Enrico Panini.

Le conseguenze del Coronavirus sulle relazioni sociali e personali, sull’economia e le imprese – è stato detto – hanno ribaltato completamente i contorni di uno scenario che si riteneva fortemente consolidato.

Il sindacato in questi mesi ha recuperato credibilità, sopratutto nelle prime settimane quando è stato determinante nella gestione positiva del primo impatto della pandemia.

Ora non si può, e non si deve arretrare perché è questo il momento delle decisioni che condizioneranno il futuro dell’intera economia, del sindacato e le prospettive delle imprese e dei lavoratori.

Non possiamo continuare a procedere come se ci fossero 22 politiche industriali, tra governo, regioni e comunità europea”.

E’ in quest’affermazione di Landini e nella relazione di Claudio Gonzato, coordinatore nazionale del settore, che c’è la novità della proposta per le politiche dell’aerospazio che emerge dall’evento di Napoli.  

La CGIL prende quindi atto dopo 20 anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione che per governare la crisi di settori strategici del Paese, per costruire le condizioni di una ripresa industriale, per utilizzare al meglio le notevoli risorse pubbliche che si renderanno disponibili per lo sviluppo del Paese, è necessario un nuovo paradigma nell’economia che superi l’approssimazione delle precedenti politiche industriali e il modello di governance del passato.

La rappresentazione del mondo delle imprese in questa fase è di un contenitore compresso dal blocco dei licenziamenti e dall’estesa applicazione della cassa integrazione. Quando questa pagina sarà alle spalle bisognerà fare i conti con le conseguenze della crisi sui segmenti deboli del sistema produttivo nazionale che nel comparto dell’aerospazio, difesa e sicurezza sono gli impianti del Mezzogiorno che producono, prevalentemente, aerostrutture per i velivoli civili.

In Campania e Puglia gli stabilimenti di Leonardo e praticamente tutte le aziende dell’intera filiera della subfornitura sono in attesa della ripresa produttiva e delle decisioni dei grandi costruttori aeronautici mondiali.

Quelle grandi imprese che fanno i conti con il disastro del 737Max e la fine del progetto A380, il fermo della mobilità del trasporto civile per la pandemia, la crisi finanziaria delle aerolinee, le migliaia di aerei parcheggiati e le crescenti cancellazioni di centinaia di ordini di nuovi aerei.

Uno scenario che si presenta per la prima volta nella storia dell’aeronautica, le cui conseguenze future sono a oggi solo ipotizzabili, la ripresa ci sarà certamente, almeno così sostengono tutti gli esperti, ma nessuno prevede quando veramente questa arriverà e quale sarà la domanda di nuovi velivoli commerciali.

L’industria mondiale dell’aerospazio fa i conti con questa incognita.

La crisi del comparto italiano è diffusa e latente sopratutto tra le medie e piccole imprese del segmento delle aerostrutture e dove già emergono gravi criticità come quella di DEMA. Un’azienda su cui pesano, è stato detto, anche i troppi errori del passato e, nonostante la proprietà di un Fondo, anche una pesante crisi finanziaria.

In alcuni interventi è emerso che Leonardo penserebbe di arginare questa deriva della supply chain promuovendo la formazione di un consorzio tra i suoi subfornitori per accedere al fiume di denaro pubblico in arrivo dall’Europa. Per il sindacato sarebbe un’iniziativa sbagliata come lo fu quella di alcuni anni fa quando le regioni meridionali furono indotte a finanziare decine di progetti e investimenti delle Pmi per attrezzare le aziende allo sviluppo del nuovo turboelica.

Progetto di velivolo regionale che Leonardo e Airbus non hanno mai messo in cantiere anche perché l’holding italiana aveva già deciso d’investire centinaia di milioni sul programma del convertiplano AW609.

Il sindacato, come confermato In molti interventi, si opporrà in ogni sede alla pratica del finanziamento pubblico di piccoli progetti utili solo per accontentare gli amici degli amici, non raccordati quindi a un disegno strategico nazionale e privi di garanzie di ricadute positive sui livelli occupazionali.

Nel suo intervento Landini ha sollecitato i sindacalisti ad alzare il tiro delle riflessioni per interpretare e cogliere le grandi opportunità che si propongono in questo scenario, che è profondamente mutato rispetto a prima della pandemia.

In settori strategici come l’aerospazio non basta più difendere l’esistente.

Le risorse pubbliche devono sostenere una strategia nazionale, unitaria e inclusiva, altrimenti ci si renderebbe complici di una progressiva, lenta e nemmeno non traumatica uscita dal mercato delle produzioni civili ad ala fissa.  

Il sindacato propone di puntare quindi su una strategia che consenta una partecipazione significativa e rilievo delle imprese italiane allo sviluppo di quei pochi, nuovi e fortemente innovativi progetti aeronautici sui quali sono già al lavoro i grandi gruppi mondiali del settore.

Nel Mezzogiorno, la crisi delle imprese delle aerostrutture nasce ben prima della pandemia, quando alla chiusura annunciata del programma A380 e al calo del mercato di velivoli regionali turboelica, Finmeccanica prima, e Leonardo poi, stringevano una “cintura d’isolamento” intorno agli impianti delle aerostrutture.

C’è in questa considerazione la critica della Fiom al suo operato perchè quella è stata un’operazione che non ha prodotto apparentemente tensioni occupazionali perchè non ha ridotto l’occupazione nel perimetro di Leonardo, ed è stata coperta da una narrazione – non solo del management aziendale – che presentava gli stabilimenti meridionali quali espressione di un’isola felice dove tutto procedeva nel migliore dei modi previsti.

La mistificazione e i suoi fini erano palesi ma non furono capiti dal sindacato e da tutti coloro che avevano interesse a non capire.

La pandemia ha sollevato il coperchio a questa situazione.

Nella relazione di Gonzato si è detto che la metà dei fondi del Recovery Fund deve arrivare  all’economia del Mezzogiorno, non solo per porre argine alla deriva occupazionale ma per ricostruire il futuro dell’industria aeronautica meridionale e realizzare le premesse che consentiranno alle imprese del settore di non restare ai margini della ripresa quando l’economia ritornerà a crescere.

Finora il Governo nazionale è stato concentrato solo sui grandi programmi europei dell’agenzia Spaziale verso i quali sono da sempre orientati la gran parte delle ingenti risorse pubbliche. Minore attenzione si è sempre avuta alle strategie del comparto aeronautico, che, al netto delle conseguenze industriali delle politiche della Difesa, sono affidate dai governi ai grandi player nazionali e alle istituzioni regionali che hanno gestito le loro prerogative nella logica degli interessi che interpretavano.

E’ l’ora di cambiare registro e riportare tutto nell’ambito di una responsabilità politica nazionale superando le troppe interlocuzioni intermedie.

Le regioni si sono dimostrate inadeguate e prive delle competenze necessarie per gestire i piani europei di finanziamento, si sono affidate a una pletora di organismi, più o meno pubblici e rappresentativi, come i cluster, i distretti industriali e tecnologici.

Enti nati nelle migliori intenzioni per supportare una governance regionale, ma che il tempo ha trasformato in portatori d’interessi meramente localistici, oppure, quando ne sono stati capaci, in strumenti utili solo alla politica, e utilizzati dalle imprese, gli enti di ricerche e di formazione per accedere ai finanziamenti pubblici.

La FIOM nazionale con il convegno di Napoli ha dimostrato il coraggio e la volontà di mettere finalmente i piedi nel piatto di questa situazione.

Al confronto con il sindacato si sono però sottratti il governo e la Regione Campania che hanno disertato l’evento.

Sono forse loro – hanno affermato i dirigenti sindacali – ad aver perso un’occasione.

Il vicesindaco Enrico Panini è invece intervenuto per l’amministrazione comunale di Napoli e si è soffermato sulla vicenda esemplare del progetto del Polo Nazionale delle Manutenzioni di Capodichino da cui emersero e si confermarono i limiti della politica nazionale e l’inadeguatezza dell’intera filiera istituzionale regionale.

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